Un canile definito “lager” in primo grado, poi assolto in appello. Ma la vicenda del Dog Center riapre il dibattito sulla gestione dei rifugi, le lacune dei controlli pubblici e la percezione di giustizia nella protezione degli animali.
Locri / Sant’Ilario dello Ionio – Il caso del Dog Center di Sant’Ilario dello Ionio torna al centro dell’attenzione pubblica.
Dopo anni di indagini, processi e denunce da parte di associazioni animaliste, la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha assolto tutti gli imputati ribaltando la sentenza di primo grado, che aveva invece riconosciuto responsabilità nella gestione della struttura.
Nelle motivazioni dei giudici, pubblicate dalla Gazzetta del Sud, si legge che le condotte contestate non configurano reato poiché “non dolose né colpose”, ma frutto di una situazione di necessità economica. In altre parole, le condizioni di degrado del canile sarebbero state il risultato di gravi difficoltà finanziarie e non di dolo o negligenza volontaria.
Il contesto: un canile tra sovraffollamento e povertà di risorse
Il Dog Center, situato su un’area di circa 9.000 metri quadrati, ospitava centinaia di cani in decine di box.
Nel corso degli anni, le ispezioni e le testimonianze avevano evidenziato problemi di sovraffollamento, scarse condizioni igieniche e carenze nella gestione dei rifiuti e dell’assistenza veterinaria.
Secondo le cronache locali, la struttura riceveva animali da più comuni della Locride, spesso senza fondi sufficienti a garantire una gestione conforme agli standard previsti.
Le difficoltà economiche sarebbero esplose con la riduzione dei rimborsi da parte dell’ASP e la mancanza di contributi comunali, portando il canile al collasso operativo.
Il processo e l’assoluzione
Nel 2023 il Tribunale di Locri aveva emesso una condanna per maltrattamento e gestione irregolare, definendo il Dog Center un “canile lager”.
Ma nel 2025 la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha ribaltato completamente il verdetto, stabilendo che il fatto non sussiste.
I giudici hanno riconosciuto che gli imputati – tra cui il direttore sanitario e i responsabili della gestione – avevano agito in un contesto di emergenza e povertà strutturale, privo di dolo intenzionale.
Le carenze igieniche, pur gravi, sono state ricondotte alla mancanza di risorse economiche piuttosto che a un disegno criminoso.
Analisi criminologica: tra vulnerabilità organizzativa e giustizia percepita
Dal punto di vista criminologico, il caso di Sant’Ilario rappresenta un esempio emblematico di devianza organizzativa in contesti di welfare animale.
Una struttura nata con finalità pubbliche e sociali si è trovata schiacciata tra burocrazia, tagli economici e incapacità gestionale, fino a trasformarsi in un sistema vulnerabile, incapace di garantire il benessere degli animali ospitati.
La mancanza di controlli efficaci, di fondi e di personale ha creato le condizioni per quella che, in criminologia, si definisce una zona grigia di responsabilità: un luogo dove non c’è malvagità diretta, ma dove l’assenza di risorse produce sofferenza e degrado.
Sul piano etico e sociale, però, resta aperto un abisso tra la giustizia legale (l’assoluzione) e la giustizia percepita.
Centinaia di cittadini e volontari hanno protestato, scrivendo alle redazioni per esprimere indignazione: “Il dolore degli animali non può essere archiviato con una formula di rito”, hanno dichiarato diverse associazioni.
Cosa ci insegna questo caso
Il caso Dog Center solleva interrogativi profondi:
- Come possono enti pubblici e privati collaborare per evitare che le carenze economiche diventino alibi per l’abbandono o la negligenza?
- Chi controlla realmente i fondi destinati alla tutela degli animali?
- E cosa accade quando il sistema fallisce, lasciando animali e operatori soli in una spirale di degrado?
Da un punto di vista criminologico, si tratta di una devianza non intenzionale ma sistemica, dove l’inefficienza amministrativa e la povertà istituzionale diventano fattori criminogeni.
Verso un nuovo modello di tutela
Per evitare il ripetersi di casi simili, servono:
- controlli periodici reali e non formali;
- trasparenza nella gestione dei fondi pubblici;
- formazione del personale e tracciabilità dei flussi di animali;
- collaborazione tra ASP, comuni e associazioni etiche;
- sostegno alle strutture virtuose che operano secondo modelli di benessere animale.
Solo unendo legalità, trasparenza e responsabilità collettiva sarà possibile restituire fiducia ai cittadini e dignità agli animali.
Il caso di Sant’Ilario dello Ionio non è solo una storia giudiziaria: è un monito per l’Italia intera.
Quando la povertà istituzionale incontra l’indifferenza politica, a pagare sono sempre gli ultimi — in questo caso, i cani.
Veronica Cucco
Fonti: Gazzetta del Sud, CityNow, Telemia, Il Reggino, LEAL.it



